Record di pressione al Plasma Science and Fusion Center del MIT

Una fonte di energia priva di emissioni, sicura, economica, efficace, ed illimitata: questa rappresenta per tutti un’utopia che porrebbe fine a gran parte delle problematiche legate all’utilizzo di fonti esauribili ed inquinanti (in particolare fonti fossili).

Un processo che presenta praticamente tutti questi vantaggi è stato concepito fin dagli anni ’30: incoraggiati dagli enormi progressi ottenuti nel campo della fisica teorica (grazie alle equazioni di Einstein), gli scienziati pensavano di poter riprodurre in modo controllato le reazioni che avvengono nei nuclei delle stelle; infatti, a seguito della fusione a catena de nuclei di Idrogeno (reazione protone-protone), un’enorme quantità d’energia (in forma di radiazioni γ e neutrini) viene liberata per difetto di massa [1]. Idealmente, lo stesso processo può essere replicato sulla Terra, all’interno di uno speciale reattore, forzando artificialmente la fusione tra nuclei atomici leggeri (quali Deuterio e Trizio), in modo da poter sfruttare l’energia ed il calore sviluppati dalla reazione. Ma perché questo sia possibile occorre verificare una serie di condizioni delicate.

Innanzitutto, per riuscire ad avvicinare gli atomi al punto da poterli fondere, è necessario che essi siano separati dai loro elettroni, ovvero che siano presenti allo stato di plasma. Questa trasformazione, per essere innescata, richiede un’elevata energia, in particolare energia termica, con il raggiungimento di temperature dell’ordine delle decine/centinaia di milioni di gradi. Poi, ovviamente, occorre avvicinare fisicamente i nuclei per dare il via alla loro fusione (che invece nelle stelle avviene spontaneamente per via dell’enorme pressione gravitazionale che comprime il nocciolo [2]). Il plasma presente sulla Terra (sotto forma, ad esempio, di luce fluorescente e fiamme), invece, risulta troppo freddo e “contaminato” per poter ospitare reazioni di fusione, per il semplice fatto di essere a contatto diretto con l’ambiente esterno.


Il Tokamak

Ecco quindi la sfida che ha impegnato migliaia di ricercatori e ingegneri: creare un sistema che riesca a mantenere le giuste condizioni del plasma, evitandone il contatto fisico con qualunque componente esterno. Una delle tante soluzioni pensate è concettualmente semplice e si basa sulle proprietà elettriche del plasma; un sistema di gas ionizzati, infatti, essendo composto da cariche libere, assume le caratteristiche di un superconduttore e risente quindi di forze di Lorentz quando è percorso da corrente o è immerso in un campo magnetico.

Queste forze possono essere indotte appositamente per fare “levitare” il plasma all’interno di una camera di contenimento toroidale [3], nella quale è stato precedentemente creato il vuoto, e per imporgli una traiettoria tale da evitare il contatto con le pareti laterali della camera. Questo è il modello su cui si basano i cosiddetti Tokamak, o reattori toroidali, come JET e ITER. 

Fino ad oggi gli scienziati sono riusciti a portare il plasma a temperature dell’ordine delle decine di milioni di gradi, facendovi circolare una corrente degli ordini dei MA (riscaldandolo quindi per effetto Joule), e con l’ausilio di tecniche quali l’iniezione di particelle neutre esterne, che provocano ulteriori urti nel plasma stesso, aumentandone ancora la temperatura, o il riscaldamento elettromagnetico a radiofrequenza (RF).

Un reattore termonucleare che sfrutta queste tecnologie, dunque, necessita di essere costantemente alimentato da una rete elettrica esterna ad elevata potenza; ciò significa che la fusione potrà diventare una fonte pienamente sostenibile solo se riuscirà a rendere molta più energia di quella che richiede per mantenere i processi attivi.


La fattibilità della fusione come fonte di energia

Esiste una formula che esprime la qualità della reazione in questo senso: il cosiddetto triplo prodotto, moltiplicazione della densità particellare del plasma, la sua temperatura ed il tempo di confinamento. Per la fusione di Deuterio e Trizio, se il triplo prodotto risulta maggiore di 5×1021 m-3·s·KeV, la reazione determina una resa netta di energia. Il breakeven point non è stato ancora raggiunto (il massimo rapporto tra potenza resa e potenza fornita al sistema è, ad oggi, 0.65). Il prodotto dei primi due termini (densità e temperatura) altro non è che una pressione, che incide sulla velocità di reazione. Il rendimento del processo, quindi, dipende per due terzi dalla pressione del plasma: del resto, si constata sperimentalmente che la potenza resa dal sistema varia approssimativamente con il suo quadrato.


Un grande passo avanti a pressione record

Ecco che allora una squadra di scienziati ed ingegneri del Plasma Science and Fusion Center del MIT ha stabilito il 30 settembre scorso un nuovo record di 2 atm tramite un campo magnetico di 5,7 T, facendo circolare nel plasma 1,4×106 A e riscaldandolo fino a 35 milioni di gradi Celsius tramite radiofrequenze.

Il reattore utilizzato è Alcator C-mod, un Tokamak il cui funzionamento è caratterizzato, rispetto ad altri reattori dello stesso tipo (quali ITER e JET), dall’insorgenza di campi magnetici molto elevati (fino a 8 Tesla) ed è lo stesso reattore cha ha stabilito nel 2005 il record precedente di 1,77 atm. È proprio l’elevato campo magnetico a cui si deve gran parte del record. Infatti, più alta è la temperatura (e quindi la pressione), più il plasma diventa instabile e quindi maggiori sono i rischi di perdite (con conseguente raffreddamento). L’efficacia di confinamento, e quindi l’entità del campo magnetico, va a braccetto con la pressione del plasma.

Fonte: MIT Plasma Science and Fusion Center


Performance passate e previsioni per il futuro

Si prevede che il record potrà essere battuto solo nel 2032 da ITER (il cui volume sarà 800 volte quello del C-mod, ma che lavorerà a campi magnetici più deboli) con il raggiungimento di 2,6 atmosfere. Le prestazioni record di Alcator C-mod hanno spinto la ricerca verso un approccio ad elevato campo magnetico (high magnetic field approach), fortemente sostenuto da scienziati quali Prof. Riccardo Betti (Ingegneria Meccanica, Fisica ed Astronomia, Università di Rochester) e Dale Meade (di Princeton Plasma Physics Laboratory), il cui focus è lo studio di materiali superconduttori ad alte temperature di esercizio, che permetterebbero di conseguire a campi magnetici ancora più forti, a parità di corrente di alimentazione. Ad esempio, i nastri superconduttivi di REBCO (‘barium copper oxide’), sviluppati di recente, svilupperebbero un campo magnetico di 9,2 T lungo l’asse della camera di confinamento, migliorando le caratteristiche del plasma e determinando anche un guadagno dal punto di vista elettrico. Con l’impiego di questi materiali inoltre si potrà ottenere la fusione entro Tokamak di dimensione più ridotta, come proposto dal MIT per i reattori compatti ARC.


[1] I prodotti della reazione a catena sono nuclidi via via più pesanti (isotopi di Elio, Berillio, Litio) e particelle subatomiche, quali elettroni, positroni e neutrini
[2] Nel nucleo del Sole, ad esempio, si pensa che la pressione possa raggiungere 5·1011 atm
[3] Il toroide presenta una geometria ideale essendo privo di pareti terminali con cui il plasma potrebbe scontrarsi


Riferimenti:

Immagini a cura di MIT Plasma Science and Fusion Center.


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Record di pressione al Plasma Science and Fusion Center del MIT