«Se lavorando separatamente siamo forti abbastanza da distruggere il pianeta, insieme saremo forti abbastanza per salvarlo.»
Con queste parole di Sir David Attenborough, sorta di Piero Angela in salsa inglese, è iniziata la COP26 di Glasgow. Una Conferenza delle Parti (COP) attesissima e carica di aspettative, conclusa con l’adozione del Patto di Glasgow per accelerare la lotta ai cambiamenti climatici e delineare le basi per il suo finanziamento futuro, ma non è tutto oro ciò che luccica.
Dopo un anno di rinvii causa pandemia, tensioni internazionali e bla bla bla andiamo a vedere nel dettaglio i risultati di queste due settimane di contrattazione.
I grandi del mondo si riuniscono
Partenza a due velocità, da una parte sorprende l’India con la notizia di voler raggiungere la neutralità carbonica entro il 2070. D’altra parte colpiscono le significative assenze di Russia, Cina, Brasile, Messico, Turchia e Sud Africa, di cui erano presenti soltanto le delegazioni e non i rispettivi primi ministri.
La plenaria dei capi di stato dei primi giorni si è conclusa con due importanti impegni presi:
- Firma del Global Methane Pledge per ridurre le emissioni di metano: piano che prevede di ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030
- Stop alla deforestazione: oltre 100 paesi si impegnano per fermare la deforestazione entro il 2030, messi insieme comprendono l’85% delle foreste mondiali
Punto di svolta con la finanza internazionale
Sappiamo che per arrivare a un futuro a zero emissioni ci vogliono soldi (e tanti), la giornata dedicata alla finanza ha visto convergere finanziamenti pubblici e privati. Viene confermato l’obiettivo dei 100 miliardi all’anno, che si sarebbero dovuti mobilitare già nel 2009 dalla COP di Copenaghen, a sostegno dei paesi in via di sviluppo.
Chi paga? A prendersi questo impegno saranno i paesi c.d. “sviluppati”, principalmente Stati Uniti e Unione Europea. È stata già annunciata una collaborazione tra Unione Europea e Sud Africa per 8,5 miliardi di dollari resi disponibili nel corso dei prossimi 3-5 anni. D’altra parte una coalizione di banche, assicurazioni e fondi ha dato il via al Glasgow Financial Alliance for Net Zero, 450 aziende per un totale di 130 T$ per raggiungere le zero emissioni nette entro il 2050.
Decisioni prese, saranno rispettate questa volta?
Finiti i vertici dei leader iniziano i negoziati tra ministri e rappresentati, per l’Italia era presente il ministro per la transizione ecologica Roberto Cingolani, dopo 24 ore di supplementari, vediamo gli impegni presi.
Energia
Venticinque paesi dicono stop al finanziamento di progetti all’estero sui combustibili fossili entro la fine del 2022. Oltre 40 concordano l’uscita graduale dal carbone entro il 2030 nei paesi sviluppati ed entro il 2040 negli altri. Significativa l’assenza dei più grandi emettitori: Stati Uniti, Cina, India.
Emissioni
I rappresentanti di due terzi dell’economia globale hanno firmato il Global Methane Pledge per ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030. Costituisce la singola azione più rapida per contenere l’aumento della temperatura globale entro la soglia dei 1,5°C, è stimato che da sola potrebbe aiutare a ridurre di 0,2°C il riscaldamento globale.
Obiettivo trasparenza
Per una volta tutti i paesi sono stati d’accordo: il conteggio delle emissioni di carbonio deve essere univoco. Quest’ultimo punto già varato dagli Accordi di Parigi prevede che le norme con cui gli stati comunicano i loro risultati nella decarbonizzazione e le norme per l’attuazione dell’Accordo di Parigi (Paris Rulebook) siano le stesse per tutti. Almeno sapremo con più precisione quanto e come gli impegni verranno disattesi dai singoli stati.
Colpi di scena nel finale
All’ultimo momento l’India, con il tacito consenso di Stati Uniti e Cina, riesce a boicottare il testo finale sostituendo phase out (eliminazione graduale) riferita al carbone, si parla solo di phase down (progressiva riduzione). In modo piuttosto inatteso è arrivata la dichiarazione congiunta di Stati Uniti e Cina, i due paesi si impegnano a colmare i divari rispetto agli Accordi di Parigi del 2015 e a mantenere l’innalzamento delle temperature entro la soglia dei 1,5°C. Nulla di nuovo apparentemente, colpisce l’apertura della Cina a collaborare.
Alok Sharma, presidente della COP26, durante la conferenza stampa di chiusura: «È stato meno del previsto, ma non è tutto da buttare», in lacrime. Una cosa è chiara: gli occhi di tutto il mondo sono stati puntati su Glasgow per due settimane, a riprova di una crescente importanza nel dibattito pubblico della questione climatica.
200 paesi, più di due settimane di negoziati, patti firmati e impegni presi sarà sufficiente a vincere la sfida del secolo? Il prossimo appuntamento è fissato per Novembre 2022, Covid permettendo, alla COP27 di Sharm El Sheik per scoprirlo.