LEDS Quark – La Guinea Bissau
Sorry, this entry is only available in Italian. Quando nel Novembre 2017 fummo per la prima volta contattati dai proff. Alotto e Guarnieri del Dipartimento di Ingegneria Industriale (DII – […]
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Articolo originale pubblicato da Clark W. Gellings su IEEE Spectrum il 28 Luglio 2015
In questi anni ha assunto grande rilevanza in ambito accademico il concetto di “smart grid” (rete intelligente), spesso sovrapposto – sia a ragione, che a torto – a quello di “microgrid” (rete autosufficiente). L’avvento della generazione distribuita tramite fonti rinnovabili (RES) ha infatti costretto gli ingegneri a ripensare completamente il modello della rete elettrica, immaginando un futuro in cui ogni centro abitato e polo industriale consumeranno l’energia da loro stessi prodotta a livello locale, in modo sostenibile e pienamente efficiente. Ciò significherebbe, tradotto in termini pratici, suddividere le reti nazionali in piccole unità autonome, ciascuna dotata di un proprio sistema di generazione da pochi MW (ad esempio un “parco” fotovoltaico costituito dalla totalità dei pannelli installati sugli edifici) gestito in modo “smart” da una serie di sensori e strumenti informatici, che monitorano istante per istante ogni componente (Internet of Things).
Ovviamente questo modello presuppone che sia possibile sfruttare le rinnovabili in qualunque punto del pianeta, ma sappiamo, invece, che purtroppo non è così. Il grosso problema delle RES è che si tratta di fonti intermittenti, non programmabili, non uniformemente distribuite sul territorio e spesso situate lontano dai luoghi in cui la loro energia è effettivamente richiesta. Inoltre, in mancanza di efficienti ed economici sistemi di accumulo, settorializzare la rete elettrica rende estremamente più difficile il bilanciamento puntuale della produzione e dei consumi. Appare dunque evidente come per essere “smart” non sia sufficiente diventare “micro”.